il gioiello di via Manzoni

Passeggiando in centro città sono capitata davanti ad una piccola Chiesa che passa inosservata ai più ma che, per motivi affettivi, mi è molto cara.
È adiacente alla scuola in cui io ho affrontato il primo ciclo di scuole primarie, nella zona pedonale di Savona e affaccia, minuta e modesta, sulla piazza del Comune.
Dopo il portale in legno pochi scalini di marmo nero separano da quella che, più che una chiesa, sembra una bomboniera.
Marmi bianchi e colonne tornite che sorreggono una galleria dalla quale si accede alle stanze private in cui vivono le Suore della Neve. Sul fondo l’altare che sembra intinto nell’oro.
Tutto è chiaro, pulito, raggiante. Fiori semplici ma composti con una tale eleganza da sembrare sistemati appositamente per aspettare gli sposi.
Alle elementari andavo spesso in quella chiesa, soprattutto in primavera nel mese di maggio…”è il mese Mariano, quello dedicato alla Madonna, andiamo a salutare la Mamma di Gesù” ci dicevano e a noi non sembrava neanche vero perché si passava dai locali interni. Dovevamo percorrere un susseguirsi di corridoi e stanze…porte che si aprivano e chiudevano al nostro passaggio, foto e quadri appesi ai muri che non potevano che alimentare le fantasie già ben nutrite di noi bambine.
Ricordo sempre il profumo delle rose mentre eravamo sedute sulle panche in quello che ricordava il cortile di un’abitazione con tutte le suore e le giovani novizie a far da eco su in galleria, affacciate come dal terrazzino.
E lì si cantava, si provavano i canti per accompagnare le funzioni, e potevi farlo…anzi DOVEVI farlo ad alto volume anche se eri stonato perché “la Mamma di Gesù ci ascolta col cuore e di certo non dà peso all’intonazione! “.
Era bello: si cantava e si battevano le mani a tempo; poi era l’ambiente, piccolo e raccolto, che pensava ad armonizzare le nostre voci. Una ad una si accedeva al piano rialzato dell’altare per dedicare “un pensierino” ai nostri genitori e ai nonni, ai parenti e agli amici cari, ai bisognosi e ai malati, a chi è in difficoltà e a chi è confuso… non c’era da imbarazzarsi a parlare davanti a tutti perché si dicevano cose giuste. Quei pensierini erano frasi semplici, erano speranze e dediche di buon auspicio.
Entravo lì con gli occhi curiosi di chi guarda tutto da una prospettiva diversa da chi è adulto. Non è solo una questione di proporzioni e di messa a fuoco: ricordo GRANDI spazi, GRANDI marmi e GRANDI colonne ma vedendolo ora, superati i 170cm di altezza, GRANDI in me sono rimaste le speranze che davvero, quella Mamma, ascolti ancora la mia voce.

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